RAW UNA CRUDA VERITÀ

RAW UNA CRUDA VERITÀ

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GENERE:        horror, drammatico, cannibal movie

ANNO:             2016

PAESE:            Francia, Belgio

DURATA:         99 minuti

REGIA:            Julia Ducournau

CAST:              Garance Marillier, Ella Rumpf, Rabah Nait Oufella, Laurent Lucas, Joana Preiss, Marion Vernoux, Denis Mpunga, Jean-Louis Sbille, Bouli Lanners

Raw, una cruda verità. Justine, un' introversa adolescente francese, si iscrive alla stessa facoltà di veterinaria di Liegi in passato frequentata dai genitori e ora anche dalla sorella maggiore Alexia; la ragazza - amante degli animali e vegetariana unitamente al resto della sua famiglia - è costretta a subire, come avviene tradizionalmente a tutte le matricole, atti di goliardia e di nonnismo; uno di questi prevede l'ingestione di interiora di coniglio, così Justine, disgustata, dapprima tenta di rifiutare ma alla fine cede, spinta da Alexia che sembra ormai essersi uniformata al clima universitario; in conseguenza di ciò sviluppa una forte reazione allergica, poi pian piano comincia a rendersi conto di essere sempre più attratta dalla carne, sino a conseguenze inimmaginabili.

Non mi ha stupito il fatto che Cannes 2021 abbia tributato la Palma d’oro al film Titane di Julia Ducournau, perchè la regista e sceneggiatrice parigina, classe 1983, aveva già avuto modo di mostrare il suo talento cristallino con l’opera prima Raw, una di quelle pellicole che si potrebbero definire piuttosto inclassificabili poichè composte da mille elementi che suonano familiari ma alla fine vanno a comporre un qualcosa di decisamente singolare.

Il concetto alla base del film è quello del “coming of age”, esplorato però in questo caso attraverso i suoi aspetti borderline e scabrosi (con evidenti rimandi, sin dal nome della protagonista, al romanzo “Justine O Le Disavventure Della Virtù” del Marchese De Sade): un imprinting familiare che condiziona scelte e modi di pensare (i figli sembrano in tutto e per tutto dei “replicanti” dei genitori) ma allo stesso tempo soffoca quelle che sono delle inclinazioni innate o delle legittime curiosità che contribuiscono a forgiare la proria identità; la fatica e la frustrazione che implicano l’essere “diversi” in un mondo di “uguali” (non solo a causa delle proprie convinzioni personali, ma anche ad esempio dell’orientamento sessuale – si veda tutta la sottotrama legata al compagno di stanza omosessuale Adrien – ); quella “bulimia” di esperienze che porta a voler “fagocitare” il mondo intero, facendo emergere il proprio lato oscuro e ferino col quale bisogna imparare a venire a patti (e non farsene soggiogare, come succede ad Alexia), trovando magari nell’amore verso l’altro un punto di mediazione per accettarsi e migliorarsi…

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In questa architrave – che poteva, nel peggiore dei casi, rappresentare lo spunto per un innocuo “horrorino” adolescenziale alla Twilight – Julia Ducournau innesta invece brandelli (è proprio il caso di dirlo, visto l’argomento…) di cinema di indubbia potenza, andando a pescare nel puro body-horror cronenberghiano (la dermatologa che con una pinza “desquama” l’accesso purulento…), buttando lì suggestioni da zombie-movie alla Romero (gli studenti che vagano come inebetiti all’esterno del campus – la cui tetraggine architettonica rimanda a scenari distopici – nel momento del “redde rationem” tra Justine e Alexia, con in sottofondo “Ma Che Freddo Fa” di Nada…) e schegge lynchiane (quel vecchietto che fa versi strani seduto nella sala d’aspetto dell’ospedale sembra uscito fuori direttamente da Twin Peaks…), per sublimare poi il tutto nella deriva “cannibalica” condita da un tocco necrofilo (di culto, oltre al rap dedicato dal testo delirante, la sequenza dell’“incidente” occorso ad Alexia mentre sta praticando una ceretta brasiliana alla sorella…); e non finisce qui, perchè nel film, una volta sedimentato, si avverte anche un retrogusto quasi parodistico, ai limiti dello sberleffo, come nel colpo di scena finale magari non propriamente inatteso, ma caspita se coerente e ben assestato…

Eppure Julia Ducournau tiene questo “edificio” perfettamente in equilibrio con una maturità di scrittura e di messa in scena davvero rimarchevoli per una debuttante: sa quando mostrare le “crudezze” e quando ometterle, a volte anche spiazzando lo spettatore, ma interessanti risultano soprattutto alcune scelte stilistiche, come quella di affidarsi negli interni a primi piani stretti dei personaggi per poi passare in esterno a campi lunghissimi dove gli stessi sembrano perdersi, quasi a voler sottolineare l’esigenza, in determinati momenti significativi, di “guardare” le cose a distanza per poterle inquadrare nella loro giusta prospettiva; molto centrato anche l’uso dei colori, con i cromatismi della fotografia che vengono poi letteralmente riversati addosso ai personaggi sotto forma di sangue o vernice, a rappresentare quel contesto omologante che sono chiamati a superare combinando al lato istintuale quello razionale; restano infine da menzionare una colonna sonora dal sapore piacevolmente “gobliniano” ad opera di Jim Williams e un parco attori che non delude, con Garance Marillier nei panni di Justine sugli scudi. Raw è, in definitiva, l’esordio col botto di quella che si preannuncia come una luminosa carriera.

Anton Chigurh

Mi chiamo Mattia, alias Anton Chigurh, classe 1975, ho fatto studi classici e sono orgogliosamente spezzino; cosa chiedo ad un film o ad una serie tv? Di farmi riflettere, di inquietarmi, di lasciarmi a bocca aperta, di divertirmi... Per sapere dove trovo tutto questo, leggete le mie recensioni su I Cinenauti!